Contro la persecuzione dei cristiani in Egitto e in moli altri Paesi
Il 31 dicembre, un attentato suicida di fronte alla Chiesa dei Santi di Alessandria d’Egitto è costato la vita a 21 persone. 79 sono rimaste ferite. Questo crimine abominevole rappresenta un dramma senza precedenti in una lunga serie di violenze contro i Copti d’Egitto. I Copti, che rappresentano dal 6% al 10% degli 80 milioni di egiziani, da decenni sono oggetto di varie rappresaglie e sono esclusi dal potere politico. Soltanto una manciata di eletti rappresenta la comunità in seno a un parlamento che conta 508 seggi. Il santuario altamente simbolicodella Chiesa dei Santi si trovava da dicembre in un elenco di potenziali obiettivi, cosa che ha suscitato la rabbia dei Copti che hanno manifestato contro il governo, rimproverandogli di avere trascurato la loro protezione. Il Presidente Mubarak ha parlato di un attentato commesso da “mani straniere”, ma non si può neppure escludere che questo delitto, per ora non rivendicato, abbia come autori degli egiziani. Così come si è potuto leggere che alla sua origine vi siano stati gruppi salafisti locali.
I leader di tutto il mondo hanno condannato l’attentato ed espresso le proprie condoglianze al popolo e al governo egiziano. Nel suo discorso al corpo diplomatico lo scorso lunedì, Papa Benedetto XVI ha deplorato l’attentato di Alessandria, unitamente a quello di Baghdad dello scorso 31 ottobre e ad altri ancora: “Questa sequenza di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità da parte dei Governi della Regione di adottare, nonostante le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose”. In seguito a tale osservazione, il governo egiziano ha richiamato la propria ambasciatrice per alcune consultazioni ed ha espresso in tal modo il proprio malcontento.
Tuttavia, questo gesto diplomatico può essere inteso anche come un avvertimento all’Unione europea, dopo che i ministeri degli Affari esteri di Italia, Francia, Ungheria e Polonia hanno chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione europea, Catherine Ashton, di porre la questione della persecuzione dei Cristiani d’Oriente all’ordine del giorno del Consiglio Affari esteri del 31 gennaio 2011 “per discutere del rispetto delle libertà religiose”. Nella loro lettera dal 5 gennaio, i ministri hanno anche suggerito alla signora Ashton di sottoporre “proposte concrete la cui attuazione miri a promuovere il rispetto della libertà di religione o di credo”.
Non è ancora chiaro se l’Alta rappresentante che presiede in modo permanente questa formazione del Consiglio dei ministri europei darà seguito a tale richiesta, ma la pressione si fa sempre più alta ora che altri Paesi europei sembrano avere intenzione di sostenere l’iniziativa dei quattro. In effetti, tale dibattito a livello ministeriale sarebbe una buona notizia, come sarebbe auspicabile che la delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con i Paesi del Mashrek si occupasse anch’essa della questione nel corso della prossima sessione del 26 gennaio.
Che cosa possono fare gli europei?Prima di tutto, dovrebbero trovare una posizione unanime per quanto riguarda la difesa della libertà religiosa in tutto il mondo e farne una questione da affrontare regolarmente nelle istanze bilaterali e multilaterali. Per quel che riguarda l’Egitto, nel 2007 è stato sottoscritto un piano d’azione tra l’Unione europea e questo paese in sostituzione dell’accordo di associazione in vigore dal 2004. Tale piano prevede come azione prioritaria “la promozione della protezione dei diritti dell’uomo sotto tutti gli aspetti, il miglioramento del dialogo tra culture e religioni diverse, e la cooperazione nella promozione del rispetto delle varie religioni e culture”. Tra le azioni da attuare, si può citare l’intenzione di “rafforzare la cultura del rispetto dei diritti dell’uomo e dei diritti fondamentali in Egitto e nell’Unione europea”. Durante il prossimo Consiglio dell’associazione, ci saranno quindi certamente diverse cose da dire sulla base di tale accordo per rafforzare la sicurezza dei Copti e permettere loro di vivere in pace nel proprio paese.
Un’altra via proposta, quella del denaro, non porterebbe molto lontano. Certamente coloro che propongono di minacciare, come ultima risorsa, di tagliare gli aiuti allo sviluppo per l’Egitto possono affermare a giusto titolo che le somme in gioco sono notevoli. Secondo le cifre della Banca mondiale, l’Egitto ha ricevuto nel 2008 1,35 miliardi di dollari di aiuti, di cui più della metà dall’Unione europea e dai suoi Stati membri. Vi è tuttavia il serio rischio che questo possa influire prima di tutto sui più poveri, tra cui i Copti. Inoltre, anche se l’Egitto riceve molti aiuti, nel 2008 questi non hanno rappresentato che il 2,7 % delle spese del governo centrale. Rispetto a Paesi che ricevono somme di aiuti paragonabili, questa percentuale resta piuttosto bassa. Il Kenya, per esempio, dipende per il 20% delle spese centrali dagli aiuti esterni e la Nigeria per l’8,5%.
Negli ambiti multilaterali, è pensabile che le Nazioni unite siano influenzate dall’Unione europea, ma si rileva anche la proposta del presidente Sarkozy, a margine del suo recente incontro con il presidente Obama, di inscrivere “le questioni delle violenze” all’ordine del giorno del summit del G8 di Deauville a maggio. E se l’Europa stesse per trovare una voce, un’unica voce, per meglio difendere la libertà di coscienza e di religioni nel mondo?